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Immagine del redattoreValentina Ivana Chiarappa

L'olio è servito


Pubblicato su "No Comment" anno II n.7 giugno 2005


Il prezioso liquido, emblema della cucina mediterranea, sotto accusa. Scopriamo da dove, effettivamente, deriva l’olio d’oliva che consumiamo tutti i giorni.


Considerato l’“oro liquido” della tradizione culinaria del nostro paese, l’olio d’oliva è sicuramente uno degli alimenti più diffusi sul nostro pianeta.


Ma proprio l’olio extra vergine di oliva italiano, noto quale prodotto altamente genuino e di origine controllata, sta iniziando a perdere la sua consolidata fama a causa di varie inchieste il cui scopo è quello di scoprire la reale provenienza dell’olio commercializzato dalla grande distribuzione.


Ma perché ci si prende la briga di indagare l’origine di un prodotto così comune e naturale?


OLIO PROPRIO ITALIANO?

Cominciamo con il considerare che l’80% dell’olio d’oliva utilizzato in Italia (uno dei maggiori paesi consumatori) è composto da olio di importazione derivante da Spagna, Tunisia, Grecia e che, quindi, solo il 20% del prodotto venduto dalle note ditte nazionali è effettivamente di origine italiana, in netto contrasto con quanto dichiarato in etichetta.


Ma, vi chiederete, come è possibile riportare in etichetta il falso senza incorrere in un illecito. Semplice: conformemente ad un regolamento europeo, è sufficiente, affinché un olio sia considerato italiano, che venga prodotto con olive spremute in Italia anche se provenienti da coltivazioni estere. Come si dice: “fatta le legge, trovato l’inganno”.


Ecco che ci ritroviamo quotidianamente a consumare olio di marche conosciute e diffusamente pubblicizzate ma per la maggior parte di origine extracomunitaria (di qualità decisamente inferiore rispetto a quello nostrano) completamente ignari del raggiro di cui siamo vittime.


L’unico modo per sottrarsi a quest’ultimo consiste nell’acquistare solo olio extravergine di oliva che riporti la denominazione “d.o.p.”, sigla che sta per “denominazione di origine protetta”, qualifica in grado di garantire relativamente alla zona di produzione e di lavorazione del prodotto.


DI OLIVA O DI ALTRO?

Come conseguenza della pratica riguardante l’importazione nel nostro paese di olio d’oliva, viene a galla un’ulteriore inquietante questione che, ancora di più, ingarbuglia la già difficile scelta del consumatore di questo prodotto.


Parliamo della frequente pratica delle contraffazioni grazie alla quale accade spesso che giunga in Italia olio targato come olio d’oliva ma che nei paesi d’origine era tutt’altro. Questa scellerata consuetudine viene attuata per mezzo delle cosiddette “triangolazioni”, ossia manovre durante le quali navi che trasportano olio di semi proveniente da paesi extracomunitari fanno sosta in un porto comunitario dopodiché giungono in Italia con un carico “prodigiosamente” trasformato in olio di oliva.


È infatti possibile, grazie a specifiche sofisticazioni chimiche, rendere del tutto simile all’olio di oliva (per sapore, odore ed aspetto) un qualsivoglia olio di semi. Gli ordinari sistemi di analisi ufficiali non sono, inoltre, in grado di evidenziare tali alterazioni che risultano identificabili solo tramite complesse operazioni messe in atto da laboratori privati.


Ma (e qui sta il bello!), i suddetti istituti di ricerca che potrebbero provare le contraffazioni incriminate non possono, in realtà, rendere di pubblico dominio i risultati relativi, in quanto ottenuti con metodi non riconosciuti e tanto meno utilizzati dalla Comunità Europea. Al lettore le conclusioni.


Alla luce di tutto questo, è facile comprendere il motivo per il quale spesso si trova in commercio olio d’oliva venduto ad un prezzo talmente esiguo da non poter neanche coprire i costi di acquisto delle olive da parte dell’agricoltore.


E che dire, poi, del caso di cambio di documentazione scoperto da un giovane finanziere riguardante olio di nocciola giunto dalla Turchia al porto di Brindisi e fatto passare per olio di oliva. In merito alla questione il giudice competente non ha potuto adottare alcuna misura penale in quanto non erano disponibili i documenti originali della Turchia richiesti dalla legge sulle rogatorie internazionali, ma solo le loro fotocopie timbrate. La questione è stata, naturalmente, del tutto sottaciuta da media e politici.





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