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Immagine del redattoreValentina Ivana Chiarappa

L'illusione del tempo psicologico


Pubblicato su "Lux Terrae" nel novembre dicembre 2010


"Il qui ed ora" predicato dagli antichi mistici quale via per il raggiungimento dell'illuminazione, riscoperto dalla scienza e dalla filosofia come mezzo per superare il falso sé prodotto dalla mente, da cui deriva la conflittualità umana.


In qualunque ambito o in qualsivoglia degli svariati rami della conoscenza si tratti l'affascinante quanto intrigante tema del "tempo", l'essere umano si trova sovente nell'ardua situazione consistente nel dover affrontare un concetto che sfugge inesorabilmente alla piena razionalizzazione intellettuale, ma che, di converso, si presta spesso a personali astrazioni o a difficoltà di approfondimento.


Di fatto, il concetto di "tempo", per quanto faccia intimamente parte dell'esistenza umana a tal punto da assurgere, oggi, praticamente ad elemento essenziale dello scandire degli accadimenti, contiene in sé una connotazione soggettiva.


Molti di noi, infatti, hanno avuto esperienza di una diversa percezione relativa allo scorrere del tempo a seconda del particolare momento vissuto. Sotto questo aspetto il tempo sembrerebbe possedere una sorta di correlazione con il livello di intensità con cui si fa esperienza dell'evento, ovvero con lo specifico grado di presenza espressa dall'individuo nella determinata situazione.


In questi casi, dunque, si dovrebbe necessariamente giungere alla considerazione che il tempo non possiederebbe più connotazioni oggettive e perciò valutabili invariabilmente in qualunque condizione e da qualsiasi individuo, ma evidenzierebbe elementi attinenti alla personale “percezione” e, dunque, sfuggenti ad una rigida parametrizzazione.


Per questa via si è indotti ad ipotizzare che la sensazione temporale sia, in qualche modo, legata al proprio particolare stato di coscienza, potendo quest’ultimo, a seconda della sua ampiezza, modificare lo scorrere del tempo o, quanto meno, ciò che viene avvertito come tale.


Ma dove nasce il tempo?


Il tempo secondo la scienza

Abbiamo osservato come il tempo sia un qualcosa di strettamente correlato, per quanto attiene alla sua percezione, alla coscienza dell’essere umano. Banalmente possiamo considerare, ad esempio, la differenza di intuizione del trascorrere del tempo esistente tra l’attesa per l’esito di un importante esame e l’attesa per l’entrata in una pizzeria; ciò in quanto lo stato emotivo connesso alle due situazioni è, in un caso ansioso, nell’altro tranquillo.


Ma il tempo possiede anche una dimensione “oggettiva” quale strumento di misurazione del movimento di tutto ciò che esiste, misurazione obiettiva ed avulsa dalla personale valutazione della specifica esperienza vissuta.


L’essere umano ha da sempre espresso il bisogno di concretizzare tale tempo oggettivo con la creazione di dispositivi in grado di renderlo riconoscibile in una forma: la clessidra, la meridiana, l’orologio.


Dunque, secondo la scienza il tempo costituisce la dimensione che ci permette la misurazione del trascorrere degli accadimenti i quali, perciò, sono esprimibili come appartenenti al passato, al presente o al futuro.


L’analisi scientifica del concetto di tempo è giunta, grazie all’applicazione della meccanica dei quanti, alla conclusione che l’universo sia stato originato in una fase in cui non esisteva il tempo quale parametro separato dalle tre dimensioni spaziali, ma nella quale sussistevano quattro di tali dimensioni spaziali all’interno delle quali il tempo iniziava ad esistere, a scorrere.


Dunque, è logico chiedersi quale rapporto possa sussistere tra il tempo fisico-matematico espresso come fenomeno di misurazione ed il tempo quale atto di coscienza.


La nascita del tempo psicologico

Il concetto di “tempo psicologico” ha origine nell’iniziale tendenza avvertita, a partire da un certo remotissimo momento in poi, da parte dell’umanità, tendenza finalizzata a cercare di divenire “qualcosa”.


La base di questa predisposizione si rileva essere il senso di conflittualità, non solo esteriore ma anche interiore, originato da una costante insoddisfazione di ciò che si è. Tale conflittualità ha condotto l’essere umano a cominciare a concepire qualcosa “di meglio”, per raggiungere il quale è necessario un miglioramento che avviene, appunto, nel tempo.


Ma da dove nasce il conflitto?


Esso ha origine, quale lotta continua, quando il tentativo di diventare qualcosa di diverso non coinvolge solo la dimensione esteriore, nel qual caso possiederebbe la connotazione costruttiva consistente nel miglioramento; tale tendenza diventa, invece, “conflitto” nel momento in cui il principio in oggetto trova applicazione nell’interiorità dell’universo umano, provocando una contraddizione tra “ciò che è” e “il divenire ciò che dovrebbe essere”.


Si tratta, in definitiva, quando il “divenire” è utilizzato interiormente, di una sorta di forzatura ad essere qualcosa che non siamo; dunque, quando siamo ciò che vogliamo essere, contemporaneamente, vogliamo essere anche qualcos’altro. Da tale dinamica psicologica nasce il sentimento di separazione che crea l’”ego”, l’”io” e “tu”.


Il noto fisico David Bohm parla, a tal proposito, di:

"… un errore commesso molto tempo fa […] una svolta sbagliata, per cui, avendo essa esteriormente introdotto la separazione fra varie cose, noi abbiamo poi continuato a farlo … non per cattiva volontà, ma semplicemente per il fatto di non conoscere nulla di meglio.”

Lo stesso scienziato afferma, inoltre, che per poter superare il conflitto psicologico di cui abbiamo parlato, è necessario negare il concetto di tempo inteso quale aspettativa per il futuro e quale condizionamento dal passato.


Come asserito dal maestro spirituale Krishnamurti, infatti, per risolvere un qualunque problema bisognerebbe agire nel momento in cui esso si manifesta, entrando immediatamente al suo interno, senza permette alla mente di resistergli con considerazioni attinenti al futuro o al passato; in tal modo il tempo che abbiamo definito psicologico cessa di esistere, in quanto qualunque azione che non sia immediata ha l’effetto di introdurre questa specifica nozione di tempo.



Superare l’ego vivendo l’”adesso”

Possiamo operare una correlazione tra il pensiero ed il tempo; in effetti, l’atto del pensare consiste in un processo legato al tempo e ciò in quanto il pensiero prende origine dall’accumulazione di esperienze, conoscenze, memorie e reazioni, tutti elementi che possono essere creati solo tramite lo scorrere del tempo e che, anzi, nel loro insieme costituiscono proprio il tempo.


Ma il pensiero viene erroneamente considerato la propria identità e, dunque, ci si identifica con la propria mente; ciò fa sì che l’atto del pensare si trasformi in un processo compulsivo, continuo del quale quasi tutti noi facciamo esperienza e che, per questo motivo, viene ritenuto ordinario.


L’effetto più evidente dell’identificazione con la propria mente consiste nella formazione di una spessa coltre composta da giudizi, preconcetti, etichette che contribuiscono a determinare la falsa sensazione basata sulla separazione. In questo caso, che rappresenta la stragrande maggioranza della realtà, la mente si trasforma da meraviglioso strumento utilizzato dall’essere umano, a padrona di quest’ultimo il quale ne diventa, dunque, schiavo.


Che rapporto sussiste tra tutto ciò ed il tempo?

Esiste un rapporto di proporzionalità tra l’intensità con la quale ci identifichiamo con la nostra mente ed il livello di resistenza che opponiamo all’”adesso”, al momento presente.


La mente, in effetti, è sempre tesa a negare il presente in quanto la sua importanza, il suo dominio, si sciolgono come neve al sole in assenza di tempo inteso come passato e futuro; ciò conferma l’equivalenza prima affermata tra tempo e pensiero.


Questo è il motivo per il quale nella mente umana si è formato un accumulo di tempo che crea un dolore sempre più acuto e che consiste nel non vivere il tempo attuale o nel considerarlo esclusivamente un mezzo attraverso il quale raggiungere illusorie mete future le quali, in quanto future, esistono solo nella mente.


Dunque, per evitare la costante esperienza del dolore con il quale il falso sé creato dalla mente (l’ego) si identifica, è necessario rafforzare il valore del “presente” nella propria vita, considerandolo l’unico tempo reale ed accettare il fluire degli eventi che l’esistenza ci propone, senza insensatamente opporre resistenza interiore a ciò che già esiste.


Bibliografia:

  1. J. Krishnamurti, David Bohm, “Dove il Tempo finisce”, Ubaldini Editore, 1986

  2. Eckhart Tolle, “Il potere di Adesso”, Gruppo Editoriale Armenia, Milano, 2004


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