Pubblicato su "La Freccia" nel maggio 2005
Da molti considerato l’alimento “perfetto”, il bianco liquido di origine animale ed i prodotti da esso provenienti, secondo recenti studi, andrebbero assunti con prudenza. Scopriamo perché.
Quante volte ci siamo sentiti dire che il latte, il prezioso liquido che la regina Cleopatra utilizzava in bagni quotidiani per preservare la bellezza della sua pelle, rappresenti il rimedio miracoloso per ogni male: è ricco di proteine, è utile per lo sviluppo scheletrico, previene l’osteoporosi, rafforza i muscoli, ecc.
A quanto pare, però, questo concetto ormai radicato fortemente nella consapevolezza collettiva, forse, alla luce di semplici e logiche deduzioni, nonché di analisi cliniche e statistiche, dovrebbe essere rivisto.
Il consumo di questo alimento e dei suoi derivati è particolarmente consigliato per contrastare l’avanzare dell’osteoporosi, ossia di quella patologia dell’apparato scheletrico che colpisce in maggior misura le donne in età avanzata dei paesi industrializzati e che è caratterizzata da una graduale diminuzione del calcio nella struttura ossea.
Ma, a differenza di ciò che ci viene detto, da recenti studi è stato evidenziato che la presenza di osteoporosi si rivela essere più alta nelle donne che assumono quotidianamente generosi quantitativi di latte, suoi derivati e proteine animali rispetto a quelle che ne consumano con più bassa frequenza: le prime mostrano una perdita ossea del 35%, mentre le seconde, adottanti una dieta maggiormente vegetariana, solo del 7%; non per niente, l’incidenza di questa patologia negli Stati Uniti, Finlandia, Svezia e Inghilterra, paesi maggiormente consumatori di latticini, è molto elevata.
Quale latte beviamo
Cominciamo col capire in cosa consiste il processo di pastorizzazione al quale viene sottoposto il latte.
Questa tecnica, che come ben sappiamo, prende il nome dal suo inventore Louis Pasteur, si basa sul riscaldamento del nostro liquido a temperature che oscillano tra i 54 e i 70° C per periodi variabili tra i 20 e i 30 minuti. Ma le pratiche più recenti utilizzano lavorazioni “lampo” grazie alle quali il latte viene riscaldato fino a 65-76° C per 15-22 secondi.
Appare chiaro come a simili temperature (per quanto queste non siano sufficienti a sterilizzare batteri patogeni quali quelli del tifo, i colibacilli, i micobatteri, ecc.), molti principi nutritivi contenuti nel latte vengano distrutti del tutto; parliamo ad esempio del Lactobacillus acidophilus, batterio lattico utile per l’intestino, per sintetizzate la vitamina B nel colon e per controllare i batteri della putrefazione. Il paradosso è dunque che la pastorizzazione allo scopo di sterilizzare il latte (ma l’inibizione della proliferazione dei batteri è solo temporanea), in realtà ne distrugge le naturali capacità battericide.
Aggiungiamo, poi, che il forte surriscaldamento del processo di pastorizzazione è responsabile dell’abbattimento dell’enzima atto all’assimilazione del calcio, la fosfatasi alcalina, in conseguenza della cui distruzione il calcio viene assorbito dall’organismo solo per il 50%.
Inoltre, la pastorizzazione provoca la perdita delle vitamine A ed E (liposolubili e dunque alterabili dal calore) fino a più della metà, l’inerzia delle vitamine B e C fino all’80%, l’evaporazione del 20% dello iodio e la soppressione di proteine, ormoni, minerali e grassi.
Siamo ancora sicuri della bontà del latte pastorizzato?
Perché consumiamo latte
A ben vedere, l’essere umano appartiene all’unica specie mammifera esistente in natura che consuma latte per periodi anche molto prolungati dopo lo svezzamento, anzi, sarebbe meglio dire, per tutta l’esistenza dell’individuo. Il consumo di latte materno è, infatti, indispensabile nel primo anno di vita dell’individuo ma dopo lo svezzamento l’attitudine ad assimilare il lattosio decresce sempre più con il passare del tempo.
Per giunta, non viene utilizzato latte della propria razza, ma viene “prelevato” quello derivante da altri mammiferi. Il latte di mucca contiene molecole di lattosio più grandi di quelle del latte materno e dunque non facilmente assorbibili dall’intestino tenue umano, in conseguenza di ciò il lattosio non metabolizzato verrà accumulato nel sistema digerente in grandi quantità causando fermentazione, meteorismo e flatulenza. Da qui le crescenti intolleranze, soprattutto nei bambini, nei confronti di latte e suoi derivati.
Inoltre, il latte contiene la caseina, una proteina nobile impiegata industrialmente come colla universale alla quale l’organismo reagisce come nei confronti di un allergene e, dunque, producendo anticorpi, istamina e muco. Non dimentichiamo, poi, che nel latte di mucca vi sono numerosi residui: antibiotici, leucociti (ossia pus diluito), pesticidi, antiparassitari, ormoni, germi patogeni, scorie OGM, metalli pesanti, ecc.
L’impoverimento fisiologico della struttura scheletrica oltre una certa età non può essere contrastato con l’apporto di calcio derivante dal latte in quanto l’assorbimento di quest’ultimo viene bloccato (per meccanismo competitivo) dal fosforo largamente contenuto nel latte stesso. Il latte è, poi, in aggiunta agli altri alimenti di origine animale, altamente acidificante, ossia in grado di creare un ambiente acido e di abbassare, dunque il valore del Ph neutro ed il calcio abbisogna, al contrario, di un habitat alcalino per poter essere assimilato.
Quando si crea un ambiente acido i normali processi di tamponamento dell’acidità, se vi una presenza eccessiva di calcio, non operano a pieno regime, e dunque, l’organismo per poter ostacolare l’acidosi preleva minerali dalle riserve presenti nelle ossa e nei muscoli.
Ecco perché l’osteoporosi non è la conseguenza di una carenza di calcio nelle ossa ma, piuttosto, di uno scorretto regime alimentare; sarebbe opportuno dunque, ridurre il consumo di proteine animali a favore di una dieta ricca di alimenti vegetali con alto contenuto di calcio.
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