VANDANA SHIVA E LA RINASCITA DELL’ECONOMIA DELLA COMPASSIONE
Pubblicato su Lux Terrae n.17, marzo-maggio 2014
L’eccezionale incontro di Lux Terrae con l’attivista ed ambientalista indiana nota a livello mondiale per le sue coraggiose battaglie a favore della diffusione di un nuovo modello di agricoltura e di alimentazione basato sull’etica e sulla consapevolezza, per un decisivo cambiamento di coscienza.
Sguardo intenso e diretto di chi non ama fronzoli o scorciatoie, la dottoressa Vandana Shiva mostra già nel primo attimo di incontro dei nostri occhi la determinazione e la fierezza che caratterizzano la sua personalità e la sua esistenza.
Donna forte e appassionata, ritenuta tra le più serie ed accreditate voci che si muovono nell’ambito dell’ecologia sociale, è molto nota per l’opera di audace divulgazione che svolge da anni a favore delle biodiversità, dei diritti degli agricoltori indiani, e contro la diffusione dei prodotti geneticamente modificati (OGM), l’ineguale distribuzione delle risorse, la globalizzazione e la distruzione ambientale che consegue dal nuovo modo di "fare economia".
Vissuta in una famiglia molto sensibile alle tematiche attinenti ai diritti civili e sociali, in un’India dominata dalle separazioni dovute alla "casta", Vandana sviluppa una notevole attenzione relativamente alle disparità sociali ed un particolare rispetto nei confronti della "terra" e della natura di cui percepisce presto l’imponente fascino, potendone avere un contatto diretto sin da piccola.
La cultura sia formale che non formale connota l’entusiasta esistenza di Vandana, potendo usufruire di frequentazioni in famiglia con intellettuali, studiosi e seguaci di Gandhi. Fisica quantistica ed economista, deve la sua fama mondiale al libro di cui è autrice "Monoculture della mente" ed al documentario "Terra Madre" di Ermanno Olmi, nei quali affronta la tematica della preservazione delle biodiversità e dei danni della biotecnologia. Premiata nel 1993 con il lt Right Livelihood Award, il Nobel per la Pace alternativo, la dottoressa Shiva è prestigiosa ospite di numerose trasmissioni televisive prodotte dalla Rai ed è tra gli organizzatori dell’International Forum on Globalization.
Abbiamo avuto l’onore di incontrarla nell’ambito dell’evento sulla sostenibilità ambientale "Terra Futura" che si svolge da più di dieci anni a Firenze e di rivolgerle alcune rilevanti domande.
Dottoressa Shiva, Le siamo davvero grati per averci concesso questa intervista. Lei ha affermato che la tattica dell’uso del frumento quale nutrimento per gli animali da allevamento intensivo, è uno dei fattori che contribuiscono maggiormente alla fame nel mondo. Ci può spiegare come avviene questo?
Animali come i bovini sono erbivori, abbiamo vissuto con loro su questo pianeta per millenni, e loro hanno sempre mangiato ciò che gli esseri umani non mangiano. Questi animali si nutrono di erba, di paglia, mentre gli esseri umani mangiano il grano, ma con l'emergere degli allevamenti intensivi e della produzione industriale di carne su scala globale, si è cominciato ad usare il grano per nutrire gli animali: io, in realtà, non la chiamo alimentazione per animali ma tortura, si tratta di una punizione per loro.
Circa il 70% della soia e mais nel nostro pianeta viene utilizzato per l'alimentazione animale, questo, come naturale conseguenza, conduce alla fame nel mondo, sia per la quantità di cereali che viene impegnata, sia per la terra che avrebbe prodotto molti altri tipi di cibo, specialmente per i piccoli agricoltori e le zone rurali. L’uso dei terreni e degli alimenti per l'alimentazione animale è uno dei principali motivi della fame nel mondo oggi.
A suo parere, una diversa distribuzione delle risorse potrebbe risolvere la fame nel mondo?
Un miliardo di persone soffrono la fame sul pianeta, ma quasi la metà sono gravemente malnutriti. I bambini in India per il 50% sono così seriamente denutriti da diventare rachitici e sciupati in quanto non stanno ricevendo un’adeguata nutrizione. Nel frattempo in India le regioni più grandi sono state destinate alla coltivazione del mais, anche le zone in cui le persone non mangiano mais; di questo il 75% viene usato come mangime per polli. Dalle nostre parti non abbiamo allevamenti intensivi di mucche perché questo animale è sacro per noi, né ne abbiamo di suini perché i maiali sono tabù per i musulmani. Ma i polli vengono tenuti in gigantesche batterie ed è lì che viene indirizzata la maggior parte del grano coltivato, specialmente il mais. La malnutrizione che il mondo sta affrontando è innanzitutto il risultato dell’indirizzamento del sistema di produzione verso mangimi per animali. Ma il problema non è solo il fatto che gli animali stessi sono stati danneggiati dal metodo di allevamento industriale, il punto è che la malnutrizione della metà dell'umanità si basa sullo stesso sistema che tortura gli animali. Perciò, sia i bambini che gli animali potrebbero essere liberati con la riprogettazione del sistema alimentare nella produzione e nella distribuzione.
Ampia parte dell’acqua dolce del pianeta è utilizzata per gli allevamenti intensivi, mentre un miliardo di persone nel mondo muore di fame e sete, è un dato allarmante. Ce ne può parlare e descrivere le conseguenze a lungo termine?
Il 75% dell’acqua del pianeta viene usata per irrigare le colture di cui il 75% va ad alimentare gli animali, questo uso dell’acqua verso un dispendioso sistema di produzione alimentare industriale sta quindi, non solo privando un miliardo di persone del cibo, ma anche dell’acqua. Gli "Obiettivi di Sviluppo del Millennio" sono stati pensati per rispondere a questa domanda ma tutto quello che fanno è chiedere più progetti per l'acqua potabile, quando la soluzione sarebbe smettere di sprecare l'acqua nell’agricoltura industriale e per la produzione di carne.
Si consiglia di chiudere il rubinetto per non sprecare acqua, ma non si pone pubblicamente la questione del consumo delle risorse della Terra dovuto alla produzione della carne, perché?
La maggior parte delle persone adoperano l’acqua per uso domestico, per bere, per lavare piatti o vestiti, per fare il bagno. Nel terzo mondo il limite dell’acqua utilizzata è anche inferiore, perché esso è determinato da quanto una donna può camminare per arrivare alla fonte dell’acqua e da quanta ne può portare sulla sua testa. Forse una brocca, due brocche al giorno, quindi l'acqua non viene sprecata nella condizione di esseri umani che sopravvivono. L'acqua viene sperperata quando per produrre 1 kg di carne si utilizzano ben 15.000 litri di acqua che avrebbero soddisfatto il fabbisogno di acqua potabile per milioni di persone. La ragione per cui queste cifre non sono a disposizione del pubblico, è in primo luogo perché l'industria della carne è diventata una lobby molto forte nel mondo e in secondo luogo perché, mentre la scarsità d'acqua cresce, c'è il settore industriale dell’acqua che vede come nuova opportunità la privatizzazione dell’acqua stessa. Sia l’industria della carne che quella della privatizzazione dell’acqua sono guidate dall’avidità, sono spinte a togliere ciò che appartiene a tutti. Esse si basano sulla soppressione dell'economia basata sulla compassione e sulla sua sostituzione con un’economia basata sulla violenza, sia verso gli animali che verso gli esseri umani. Ecco perché alla gente comune non è stato mai concesso di conoscere il costo elevato del settore industriale della carne.
Il problema della fame del mondo, secondo Lei, è legato più alla mancanza di risorse o ad una loro inefficiente distribuzione?
Da quando ho iniziato a interessarmi all’agricoltura industriale e chimica, chiamata "la rivoluzione verde" introdotta nel terzo mondo e che non è né verde né rivoluzionaria, ho capito che il modo in cui produce alimenti è legato al sistema con il quale li distribuisce. Se coltivi il cibo in modo sostenibile, ecologico, esso è sempre legato ai mercati locali, ad uno spreco nullo, ad una nutrizione migliore. Consideriamo che quando si sposta la produzione su un'agricoltura con elevato consumo d’acqua, di combustibili fossili, di sostanze chimiche (produzione che è, quindi, per sua natura monocoltura), l’obiettivo è produrre derrate, il 75% delle quali va a finire nell’alimentazione di animali. Automaticamente, dunque, queste monocolture sono correlate ad un sistema di distribuzione globalizzato basato sullo spreco. Il 50% del cibo nel mondo viene sperperato, direttamente gettato via. Il 75% del grano viene dilapidato per nutrire animali che vogliono erba, che non sono stati concepiti per mangiare fagioli di soia. Infatti la maggior parte delle persone al mondo non hanno mai mangiato soia. Perfino le nazioni dell’estremo Oriente, dove la soia si è evoluta, hanno solo mangiato prodotti fermentati della soia, un pò di tofu, di salsa di soia. Si tratta di un esperimento sia per il pianeta, che per gli esseri umani e per gli animali.
È come se fossimo tutti messi in un laboratorio per vedere cosa funziona meglio per una definizione molto ristretta di efficienza. Con 10 unità di energia riesco a produrre 1 unità di cibo, quindi 10 unità di proteine di quel cibo vengono utilizzate per produrre 1 unità di proteine della carne. Stiamo prendendo 100 unità di energia disponibile, che ci potrebbero dare 200 unità di cibo, per produrre 1 unità di cibo. Tutto questo è inefficiente, ma è chiamato efficiente; é questa nozione errata di efficienza che permette di credere scorrettamente che si tratta di un sistema di produzione e di distribuzione proficuo. Come può essere efficiente se porta le mucche ad essere spedite in tutto il mondo sui camion? Come può essere efficiente se obbliga dei maiali ad essere spediti da Amsterdam con destinazione Portogallo per essere lì lavati e rispediti indietro per la produzione di carne? È un sistema folle che si basa sulle sovvenzioni: se non ci fosse l’Europa a finanziare questo tipo di agricoltura, non si potrebbe avere carne a basso prezzo come quella che propone il mercato.
Secondo l’Onu il comparto dell'allevamento è responsabile delle emissioni di gas serra in una percentuale notevolmente maggiore dell’intero settore dei trasporti, aerei compresi. Ci può commentare questo dato e a cosa, a Suo parere, è dovuto?
L’agricoltura industriale nel suo complesso contribuisce alla produzione di circa il 40% dei gas serra che stanno portando all’instabilità del clima ed ai cambiamenti climatici. Il primo livello nel quale questi gas serra vengono prodotti è relativo alla produzione di fertilizzanti che concimano il terreno dove si coltiva il grano che alimenta gli animali. Un altro aspetto molto importante è l’abbattimento delle foreste pluviali al fine di far pascolare gli animali sulla terra liberata o di far crescere la soia che poi andrà ad alimentare gli animali. Questa soia verrà poi colta e spedita dall’Argentina e dal Brasile verso l’Europa. Ovviamente, tale procedimento utilizza combustibili fossili che emettono, con la loro combustione, biossido di carbonio.
In definitiva, si prendono animali che hanno il desiderio di pascolare sull’erba, li si mette in vere e proprie prigioni e li si alimenta con questo cibo concentrato che poi si trasformerà in ciò che si può considerare realmente oro.
Secondo Lei, c'è una cospirazione per nascondere all’opinione pubblica il fatto che la produzione ed il consumo di carne sono tra le maggiori cause di emissioni di gas serra di tutto il mondo?
C’è sicuramente una cospirazione per far credere agli esseri umani che la sorprendente varietà di piante che sono a nostra disposizione non sia abbastanza buona come cibo e che senza carne si ha una dieta carente. Noi in India siamo in gran parte vegetariani, mentre viene ripetuto costantemente che non si può vivere senza carne. Il consumo di questa sostanza è diventato un indicatore di progresso: una società nella quale si mangia molta carne viene considerata una società sviluppata. Quindi, l’abitudine degli americani di mangiare così tante bistecche, induce a credere che questo popolo adotti la migliore dieta. Abbiamo visto a quali conseguenze ciò ha condotto: l'epidemia di persone obese, la cattiva salute. Questo tipo di allevamenti intensivi oltre a contribuire per il 18% all’instabilità del clima, concorre notevolmente alla distruzione ambientale complessiva e l’occultamento di tutto ciò è parte di una cospirazione per costringere gli esseri umani a dipendere da una dieta basata sulla carne. In questo modo ogni costo di tal genere di produzione deve essere nascosto; solo fino a quando le persone non conosceranno i reali costi continueranno a pensare che mangiando un pezzo di carne staranno facendo la cosa migliore.
È evidente che c'è stata una generale mancanza di volontà politica di prendere iniziative e misure efficaci in merito, perché?
Dato che la globalizzazione ha il pieno controllo sui nostri sistemi agricoli ed alimentari e sulle nostre economie, quello che era considerato il benessere dell’uomo, ma anche degli animali, è mutato in uno stato sociale che pensa solo al benessere delle imprese. Ci sono poche aziende che coltivano la soia che alimenta gli animali, c'è una società che controlla i semi della soia da cui inizia la catena alimentare e poi c’è ancora un ristretto gruppo di multinazionali che controlla questi allevamenti intensivi e che ricava enormi profitti perché i cittadini ignari lo stanno sovvenzionando. Bisogna sapere che ben 400 miliardi di dollari va in sussidi agricoli destinati a paesi poveri per produrre enormi quantità di semi: questo è ciò che sta tenendo a galla tale sistema altamente inefficiente e dispendioso. Quando i politici sono così legati a interessi corporativi di tal genere, perdono la volontà politica di lavorare per la terra, per gli animali e per gli esseri umani; è come se essi indirettamente creassero sistemi basati su un nuovo tipo di camere di tortura.
Se i paesi in via di sviluppo (India e Cina per esempio) cominciassero a mangiare carne nella stessa quantità dei paesi occidentali, cosa accadrebbe alla Terra, quali conseguenze ci sarebbero?
Se l’India e la Cina iniziassero a consumare carne allo stesso modo delle società industrializzate occidentali, la prima cosa che potrebbe accadere sarebbe la totale devastazione del pianeta. Allo stato attuale, solo le società occidentali che vivono con una dieta a base di carne, sono responsabili di una così grave devastazione delle falde acquifere, delle foreste, della Terra, dell’atmosfera e degli stessi animali. E se gli oltre 2 miliardi di persone di India e Cina dovessero essere spinti in quella direzione, non avremmo più cibo, ci sarebbe una tremenda carestia. Ma grazie al cielo la questione del consumo di carne non è decisa solo dagli annunci delle lobby della carne, è determinata anche dai valori culturali. E solo perché alcuni indiani sono sempre più ricchi, non significa che stiano diventando automaticamente mangiatori di carne, in quanto il consumo di carne in India è una decisione basata su principi culturali. Se sei un vegetariano, non è perché sei povero ma perché sei parte di una cultura che dice "Non voglio essere violento nei confronti di altri esseri viventi", e, in tal caso, sei un vegetariano in modo molto consapevole. Fortunatamente, la cultura della compassione è lì per noi come una barriera protettiva che ci impedisce di superare il confine di una scelta culturale sbagliata basata sul consumo di carne.
Il prezzo della carne in generale è aumentato pochissimo negli ultimi 30 anni, questo in quanto non si tiene conto dei costi legati al consumo delle risorse. Qual è, secondo Lei, il prezzo reale?
Negli ultimi trent’anni ho visto salire i prezzi alimentari di almeno dieci volte in India. Le persone che una volta consumavano due pasti al giorno, oggi ne consumano uno e coloro che se ne potevano permettere uno, oggi ne consumano mezzo. Ed è per questo che un quarto degli indiani è affamato, ed è per questo che ogni secondo un bambino indiano è così tanto malnutrito da non poter più avere l’opportunità di crescere come un essere umano in piena salute. Ma mentre i prezzi alimentari sono cresciuti, ed è aumentato il prezzo del grano, lo stesso grano che poi viene somministrato agli animali, ciò non ha portato ad un aumento dei prezzi della carne. Come può accadere che il prezzo del grano di cui si ciba l’uomo è aumentato di dieci volte e quello della carne prodotta tramite l’alimentazione degli animali con lo stesso grano è rimasto lo stesso? Chiaramente qualcosa deve giustificare la mancanza di aumento dei prezzi della carne e la spiegazione è che il denaro pubblico viene speso per sovvenzionare l’industria della carne. Questo è il motivo per cui, in merito alla soia prodotta in Brasile, gli agricoltori hanno intentato causa alla Monsanto per i 2,22 miliardi di dollari di diritti di proprietà intellettuale che l’azienda ha ricevuto. È una soia molto costosa! E arriva così a buon mercato in Europa che è più conveniente torturare i vostri animali con soia importata e OGM, che permettere loro di pascolare sul campo accanto. Come è possibile che l’erba sia più costosa del fagiolo di soia OGM brevettato, sovvenzionato e trasportato per via mare? Come può essere più conveniente questo meccanismo? Lo è a causa dei sussidi; diventa vantaggioso perché i costi esterni non vengono pagati dall’industria della carne. Tali costi si rispecchiano in un ambiente che viene danneggiato nel clima, nell’acqua, nel suolo e nelle foreste. Ma si riflettono anche nei danni che vengono arrecati alla salute degli animali e degli stessi esseri umani che mangeranno quella carne scadente. Questa non è la strada verso il futuro. Abbiamo necessità di avere il vero costo ponderato, se avessimo il vero costo della carne prodotta industrialmente, quantificato e messo su di un’etichetta, nessuno si potrebbe permettere di mangiare tale prodotto e ci sarebbe meno violenza nei confronti degli animali ed una dieta migliore per gli esseri umani.
L’economista Jeremy Rifkin afferma che "i bovini rappresentano una delle minacce ambientali più serie con cui il pianeta deve confrontarsi …". Secondo Lei, un cambiamento delle abitudini alimentari a livello mondiale nella direzione della dieta vegetariana, potrebbe condurre l’umanità a ripristinare salute e benessere nell’ecosistema terrestre?
Io vengo dall’India, luogo in cui la vacca è sacra. La vacca sacra non è mai stato un problema per la Terra, anzi, è stato un sostegno per questo pianeta. La vacca sacra ricicla il nutrimento e la fertilità per darci cibo per sempre. Grandi popolazioni di mucche e bovini gestiti ecologicamente vanno bene ma, come dice Jeremy Rifkin, nel sistema di allevamento industriale abbiamo trasformato gli animali in un problema planetario, non perché quello fosse il loro ruolo. Gli animali hanno vissuto per lungo tempo in un rapporto di complementarità con gli esseri umani, e un rapporto equilibrato e complementare era stato molto vantaggioso per entrambi. Ci sarà sicuramente bisogno di un cambiamento nella maniera in cui viviamo e nel nostro modo di pensare ed una di queste importanti trasformazioni dovrà riguardare il nostro rapporto con gli animali, così come la nostra idea di ciò che è bene mangiare e di cosa significhi una dieta sana ed equilibrata. Ciò implicherà un relazione più compassionevole con gli animali: si tratterà di un passaggio ad una dieta maggiormente a base vegetale, così che gli animali non siano torturati e gli esseri umani abbiano una dieta più bilanciata. È bene essere consapevoli del fatto che l’umanità è destinata a nutrirsi in maggior misura di piante e quindi di fibre rispetto a quanto consentirebbe una dieta basata sulla carne. Ma, soprattutto, dovremo riconoscere che il cibo ci collega alla Terra e che non può essere il motivo di una guerra contro il nostro pianeta e contro gli animali.
Lei si batte da anni per il mantenimento delle biodiversità, cosa pensa delle conseguenze della crescente destinazione di territori al pascolo sul processo di desertificazione, sul cambiamento del clima globale e soprattutto sulla drastica riduzione delle biodiversità?
La conversione di alcune delle aree primordiali della biodiversità, come le foreste pluviali del Brasile e del Costa Rica, per la coltivazione della soia destinata all'alimentazione animale e per allevare con nutrizione intensiva gli animali, è una grave minaccia sia per la biodiversità di questi luoghi che per i cambiamenti climatici, perché queste foreste costituiscono il sistema di stabilizzazione del clima terrestre. Esse rappresentano i polmoni, il fegato del pianeta e permettono il ricircolo dell’umidità; quando le foreste pluviali saranno esaurite, quello che avremo sarà la totale distruzione del sistema di equilibrio del clima ed un aggravamento di tutta l'instabilità che i gas serra hanno creato.
Come può l’umanità uscire da questa situazione, così grave che le persone spesso si sentono impotenti, e che sta uccidendo non solo gli esseri umani, ma anche il pianeta e miliardi di animali innocenti?
Gli esseri umani si sentono intrappolati in questo ciclo vizioso di violenza: violenza alla Terra, violenza agli animali, violenza al nostro corpo a causa di una dieta assolutamente non sostenibile. Ma possiamo rompere questo senso di impotenza perché tutti noi mangiamo e mangiando possiamo fare una scelta etica e consapevole. In base, innanzitutto, alla consapevolezza che siamo parte della famiglia della Terra, parte della cittadinanza della Terra nella quale le mucche, gli esseri umani, l’erba e le foreste sono parte di una comunità allargata. Questo cambiamento di coscienza è il passaggio più potente che possiamo fare nel nostro tempo e da ciò scaturisce il discernimento di mangiare consapevolmente: come mangiare in modo migliore per il nostro corpo e fermare del tutto questa guerra contro gli animali che sono torturati, mutilati e annichiliti. Questo inutile esperimento può finire se le persone fanno la scelta.
Grazie dottoressa Shiva, per il tempo che ci ha dedicato e per il suo eccellente impegno per il bene dell’umanità.
Laureata in Fisica, alla University of Western Ontario (Canada), economista, attivista ed ambientalista, ha effettuato studi in scienza, tecnologia e politica ambientale all’Indian Institute of Scienze e all’Indian Institute of Management di Bangalore. Fondatrice e direttrice dell’istituto di ricerca Research Foundation for Scienze, Tecnology and Natural Resource Policy, vicepresidente di Slow Food e collaboratrice della rivista di Legambiente "La Nuova Ecologia", ha recentemente ricevuto dall’Università della Calabria la laurea honoris causa in Scienza della Nutrizione. Fondatrice nel 1991 del movimento Navdanya (di cui attualmente fanno parte 70.000 persone) diffuso in tutto il mondo e partecipante al vertice di Rio de Janeiro del 1992.
È consulente per le politiche agricole presso diversi governi (per l’Italia in Toscana) ed ha avuto la meglio in numerosi contenziosi contro le multinazionali delle sementi.
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